Osteoporosi

 L’osteoporosi si definisce come “una malattia sistemica dello scheletro, caratterizzata da ridotta massa minerale e deterioramento microstrutturale del tessuto osseo, con conseguente aumento della fragilità dell’osso e maggior rischio di fratture”. Per l’Italia mancano ancora dati precisi sul numero di persone realmente affette da osteoporosi, ma si valuta che nel 1990 l’osteoporosi abbia causato circa 100.000 fratture di polso e 60.000 fratture di femore. Non sono quantificabili le fratture vertebrali, che in genere non passano dal “pronto soccorso” degli ospedali e non vengono quindi rilevate a fini statistici.

L’osteoporosi è una malattia difficile da riconoscere: il più delle volte non dà nessun segno di sè. Per questo è stata definita il “ladro silenzioso”, perché ruba per anni, senza farsene accorgere, il calcio del nostro osso. Solo in alcuni casi, l’osteoporosi può accompagnarsi a dolore osseo, che però spesso si confonde e si associa con i dolori determinati da un’altra malattia molto frequente negli anziani, l’artrosi.
Il dolore legato a queste due patologie è comunque abbastanza diverso.

La Mineralometria Ossea Computerizzata (MOC) con tecnica DXA (Dual X-ray Absorptiometry) è l’esame che misura la massa minerale ossea (abbreviata come BMC) e la “densità ossea” (abbreviata come BMD). In pratica misura la quantità e la densità di sali minerali (sali di calcio) contenuti nella regione esaminata del nostro scheletro.
La MOC-DXA può essere eseguita a livello dell’avambraccio, della colonna vertebrale lombare, del femore o dell’intero scheletro. Nella maggior parte dei casi si fa a livello della colonna vertebrale o del femore.
La MOC-DXA utilizza i raggi X, ma la dose di radiazione utilizzata per l’esame è bassissima, molto minore di quella di una normale radiografia, e infinitamente minore di quella di una TAC. Pertanto, non ci sono assolutamente problemi a ripetere la MOC nel tempo.
Solo questo esame permette di fare con precisione la diagnosi di osteopenia (una modesta demineralizzazione ossea, che costituisce un po’ un campanello di allarme) o osteoporosi (una demineralizzazione ossea più consstente, che comporta il rischio più o meno grave di fratture).

In una persona adulta, la diagnosi si fa esaminando il T-score, cioè valutando di quanto il valore in esame si differenzia da quello del campione di riferimento (soggetti sani dello stesso sesso e di età pari a 25-30 anni, ossia esaminati nel momento in cui si raggiunge il picco di massa ossea). In termini più precisi, il T-score è la differenza, espressa in numero di “deviazioni standard”, fra il valore individuale osservato e il valore medio della popolazione sana di riferimento.
Valori di T-score compresi fra +1 e -1 indicano una mineralizzazione ossea nella norma.
Secondo i criteri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (originariamente riferiti alle donne in menopausa, ma oggi utilizzati per gli adulti di ambo i sessi), si parla di osteopenia quando il valore del T-score è inferiore a -1, e di osteoporosi quando il T-score è inferiore a -2.5.

Fra una MOC e l’altra potrà invece esser utile effettuare altri tipi di esami di controllo sul sangue e sulle urine (tra cui esami specifici – i cosiddetti markers di turnover osseo – che possono aiutare a valutare l’efficacia dei trattamenti in atto per limitare la perdita di massa ossea).

La più diffusa è quella che utilizza apparecchi a ultrasuoni (ultrasonografia quantitativa o QUS), molto interessante in quanto poco costosa e di rapida e facile esecuzione. La QUS è molto utile per l’individuazione in prima battuta dei pazienti “a rischio di osteoporosi”, ma non è ancora in grado di fornire una misurazione precisa della massa/densità ossea, e soprattutto non è possibile fare un confronto preciso fra due diverse misurazioni a distanza di tempo, per cui i pazienti riconosciuti come “a rischio” dovrebbero valutare meglio la situazione (e poi seguirne l’evoluzione nel tempo) con la MOC-DXA.

La TAC quantitativa ossea (QCT), dato il costo e soprattutto l’alta dose di radiazioni, va riservata a casi particolari.
Negli ultimi anni, è stata sviluppata anche la TAC quantitativa ossea periferica (pQCT), con cui si studiano ossa degli arti (radio e tibia). Si tratta tuttavia di un metodo ancora poco diffuso e essenzialmente sperimentale, utilizzato solo per studi molto particolari, da parte di centri di ricerca. Vedi anche LIOS

TERAPIA

Per prima cosa, bisogna aver ben chiare due cose importantissime:

  1. si deve assumere regolarmente la terapia, secondo le prescrizioni del medico (p.es.una pillola ogni settimana, una bustina ogni sera)
  2. non si deve interrompere la cura arbitrariamente prima del tempo. Anche la durata deve essere indicata dal medico. In particolare, occorre sapere che la maggior parte dei farmaci contro l’osteoporosi dovrà essere assunta per diversi anni.

Non rispettare queste due regole fondamentali può vanificare tutti gli effetti terapeutici di un farmaco.
L’unica eccezione a queste regole è la seguente: se si riscontrano effetti collaterali o reazioni impreviste assumendo un certo farmaco (e questo vale per qualunque farmaco, non solo per quelli contro l’osteoporosi), non si devono prendere ulteriori dosi e si deve parlare immediatamente con il medico descrivendo accuratamente che cosa è successo.

Veniamo ora ai farmaci attualmente disponibili contro l’osteoporosi:
estrogeni, farmaci utilizzabili solo dalle donne; tipicamente costituiscono la terapia ormonale sostitutiva (TOS) dopo la menopausa.
SERM, prodotti simili agli estrogeni, sempre utilizzabili solo dalle donne, ma che a differenza degli estrogeni hanno effetti limitati all’osso (nessuna azione su utero e mammella): il primo SERM utilizzato specificamente per l’osteoporosi è il raloxifene.
bisfosfonati, farmaci capaci di ridurre il riassorbimento osseo, utilizzabili da donne e uomini. I più usati nelle forme comuni di osteoporosi sono alendronato, risedronato, ibandronato (per bocca); clodronato (per iniezione); ibandronato (per infusione endovenosa, una volta ogni tre mesi, solo in ospedale); zoledronato (per infusione endovenosa una volta all’anno, solo in ospedale). Esistono molti altri bisfosfonati (p.es. pamidronato, neridronato, ecc.), utilizzati principalmente per altre malattie del metabolismo osseo, come l’osteogenesi imperfetta o il morbo di Paget osseo.
ranelato di stronzio farmaco “a doppia azione” sull’osso, capace sia di rallentare il riassorbimento osseo, sia di stimolare la formazione.
teriparatide e ormone paratiroideo, sono i primi farmaci capaci di stimolare specificamente la formazione di osso.
denosumab, un nuovo “farmaco biologico” che blocca il principale sistema di attivazione degli osteoclasti, riducendo il riassorbimento osseo.
calcitonina, ormone normalmente prodotto dalla tiroide, che si prende come “spray” nasale. È stato uno dei primi farmaci anti-osteoporosi, ma oggi è raramente usato.
vitamina D e suoi derivati attivi (calcifediolo, calcitriolo, alfa-calcidolo), sostanze con azione ormonale, capaci di favorire l’assorbimento del calcio nell’intestino e la corretta mineralizzazione dell’osso

I primi tre gruppi comprendono sostanze chimicamente molto diverse, che però in qualche modo agiscono sull’osso in modo simile. In pratica, agiscono sul processo di rimodellamento osseo riducendo l’attività degli osteoclasti e il riassorbimento osseo. Ricorderete che l’osso si distrugge (riassorbimento) e si rigenera (neodeposizione) continuamente. Il problema dell’osteoporosi è che per qualche motivo si riassorbe più osso di quanto se ne riesce a ricostruire. Tutti questi farmaci, rallentando la distruzione, riportano i due processi verso l’equilibrio: ecco perché riescono in genere a rallentare o anche bloccare l’evoluzione della malattia.
Il ranelato di stronzio è nato dall’osservazione che lo stronzio è un elemento per molti aspetti simile al calcio: si assorbe nell’intestino come il calcio e si fissa nell’osso come il calcio. Il ranelato di stronzio agisce sul processo di rimodellamento osseo in due modi: sia riducendo il riassorbimento, sia stimolando la formazione di osso nuovo.
L’ormone paratiroideo o paratormone è l’ormone “ipercalcemizzante” prodotto dalle paratiroidi, e il teriparatide è il suo “frammento attivo”: si tratta di farmaci estremamente potenti e delicati da usare, prescrivibili solo da parte di centri specialistici autorizzati. Si usano solo in casi particolari e per brevi cicli di cura.

Infine, la vitamina D e i suoi derivati attivi sono farmaci “coadiuvanti”, che agiscono contro l’osteoporosi soprattutto facilitando l’assorbimento di calcio nell’intestino e favorendo la mineralizzazione ossea. Sono essenziali in tutte le carenze di vitamina D (molto più comuni di quanto si pensi), e particolarmente nelle persone anziane.

Va sempre tenuto presente che un normale rimodellamento osseo richiede necessariamente la giusta disponibilità di calcio. Tutti questi farmaci possono agire in modo ottimale solo se il paziente assume regolarmente la quantità di calcio raccomandata per la sua età. Chi non può assumere sufficiente calcio con la dieta può utilizzare uno dei molti “integratori di calcio”, che in molti casi contengono anche piccole dosi di vitamina D.

Gli integratori di calcio
Anche se non si tratta di farmaci in senso stretto, è bene accennare, sotto il capitolo “terapia”, anche agli integratori a base di calcio, con o senza vitamina D, che per molte persone, soprattutto anziane, costituiscono un obbligatorio complemento della terapia farmacologica.
Alcuni integratori sono prodotti da banco, altri richiedono la ricetta medica. Ne esistono in forma di compresse, bustine, pastiglie effervescenti. Sono utili, o addirittura essenziali, quando la dieta quotidiana non può fornire il calcio necessario, p.es. in chi non vuole o non può mangiare latte e latticini.
Sono “integratori”, cioè sostanze aggiuntive, usate per completare l’alimentazione quotidiana quando essa contiene troppo poco calcio. Quindi, è inutile prendere un integratore di calcio il giorno che si è mangiato un etto di parmigiano. Senza diventare fanatici dei milligrammi, l’ideale sarebbe fare una valutazione del calcio assunto con i cibi, e poi prendere la dose mancante attraverso un integratore. Un giorno si dovrà prendere l’intera bustina o compressa, un altro giorno ne potrà bastare mezza, un altro giorno ancora l’integratore non sarà necessario. Troppo poco calcio non va bene, ma troppo calcio è inutile.
Alcune persone hanno disturbi (gonfiore, flatulenza, mal di pancia) con gli integratori di calcio: il consiglio migliore per minimizzare i disturbi è di frazionare la dose in due o tre parti, e di assumerla durante i pasti. Si può anche provare a cambiare prodotto, perché i diversi sali di calcio (p.es. calcio carbonato, calcio citrato) possono essere più o meno tollerati.
Per quanto riguarda gli integratori di calcio contenenti anche vitamina D, le dosi di vitamina contenute sono di tutta sicurezza. Tuttavia, chi già usa un “derivato attivo” della vitamina D su prescrizione medica, per evitare sovradosaggi, dovrebbe scegliere integratori di calcio privi di vitamina D.

Un ultimo punto: chi usa integratori di sali minerali e vitamine non prescritti dal medico (molti sono in vendita libera in negozi specializzati, nelle erboristerie e anche nei supermercati) è bene che controlli – leggendo attentamente le etichette – di non assumere le stesse sostanze (es. calcio o vitamina D) da fonti diverse, per evitare di assumere dosi eccessive.

  1. Il presupposto per poter usare efficacemente i farmaci è conoscere bene sia la malattia (e quindi, in primo luogo, averla identificata – “diagnosticata” – correttamente), che il “meccanismo di azione” dei farmaci disponibili per combatterla. Tenendo ben presente non solo che le azioni dei farmaci sono sempre in parte “buone” e in parte “cattive”, ma anche che tutti i farmaci possono avere delle “controindicazioni”, possono provocare effetti collaterali indesiderati, o – in certe situazioni – possono determinare “reazioni avverse“ che, seppur raramente, possono anche essere gravi (es. reazioni allergiche in soggetti predisposti). Per capire meglio questo discorso, basta leggere il foglietto illustrativo di un qualunque farmaco.
    (Sulle reazioni avverse ai farmaci si può anche leggere Notizie LIOS n. 35 )
  2. Non esistono certezze in medicina: scegliere il farmaco più adatto per un certo paziente, a cui è stata diagnosticata una certa malattia, vuol dire considerare tutti gli aspetti della sua situazione e cercare il modo migliore per ottenere un risultato positivo. A volte, trovare la cura migliore può richiedere diversi tentativi con farmaci diversi. Altre volte, il medico può invitare a sopportare con pazienza qualche disturbo non grave (per esempio qualche doloretto passeggero), piuttosto che ricorrere continuamente a farmaci che alla lunga potrebbero fare più male che bene.
  3. Ogni cura va fatta sulla base di un corretto calcolo “rischi-benefici”, e questo calcolo può essere fatto solo dal medico, che può valutare la situazione nel suo insieme, conoscendo bene sia il paziente, sia la malattia (o le malattie) di cui soffre, sia i farmaci utilizzabili per curarla (o curarle).
  4. Se avete dubbi di qualunque tipo sui farmaci che vi sono stati prescritti, non abbiate paura di chiedere chiarimenti al vostro medico.
  5. A parte i cosiddetti “farmaci da banco” in vendita libera (comunque da prendere sempre con prudenza e seguendo le regole del foglietto informativo), tutti i farmaci devono essere usati solo su prescrizione medica e seguendo le indicazioni del medico.
  6. Non curatevi da soli o su consiglio di persone non preparate. Tutti i farmaci, se usati a sproposito, o non servono a niente o fanno male (e questo vale anche per l’uso di dosi troppo basse o – peggio – troppo alte, oppure per l’uso in presenza di controindicazioni individuali). Per questo il “fai da te” nelle malattie più complicate di un’indigestione o di un raffreddore (che tutti impariamo a curarci da soli) è sbagliatissimo.
  7. Interpretate con intelligenza quello che viene detto sui giornali o alla TV: spesso le informazioni sui farmaci sono date in modo impreciso, e soprattutto sono date in modo da impressionare e “fare notizia”.
  8. Non pensate che un farmaco nuovo sia automaticamente migliore di uno vecchio. Tenete presente che dei farmaci vecchi sappiamo tutto o quasi tutto, di quelli nuovi ancora no.

I BISFOSFONATI

I principali bisfosfonati oggi in uso sono:

  • alendronato (per bocca: 10 mg al giorno o 70 mg una volta alla settimana)
  • risedronato (per bocca, 5 mg al giorno o 35 mg una volta alla settimana; di recente è entrata in commercio la formulazione da 75 mg, da assumere per due giorni consecutivi una volta al mese)
  • ibandronato (per bocca, 150 mg una volta al mese)
  • clodronato (generalmente 100 mg per iniezione intramuscolare, 1 volta ogni 7-15 giorni; la formulazione orale è poco utilizzata)
  • ibandronato (per infusione endovenosa, 3 mg 1 volta ogni 3 mesi)
  • zoledronato (per infusione endovenosa, 5 mg 1 volta ogni 12 mesi)
  • pamidronato (usato solo in ospedale, per via endovenosa, in casi particolari di osteoporosi e nell’ osteogenesi imperfetta)

L’alendronato da 70 mg (pillola settimanale) è in vendita anche in una formulazione che comprende, in aggiunta al farmaco, anche 2800 U.I. (70 mcg) di vitamina D.

L’ibandronato e lo zoledronato per infusione endovenosa sono prescrivibili e somministrabili solo in ospedale, solo per donne in menopausa con osteoporosi ad alto rischio di frattura, nei casi in cui non è possibile assicurare la continuità delle cure con scadenze più brevi e con formulazioni da prendere per bocca.

Infine, sebbene in Italia sia registrato solo per l’Osteogenesi imperfetta e il morbo di Paget osseo, in caso di difficoltà con gli altri bisfosfonati si può usare, come alternativa, il neridronato (per iniezione intramuscolare, 25 mg una volta al mese).

Alle nostre latitudini, una persona sana che nella bella stagione passa ogni giorno almeno un’ora all’aria aperta, con un po’ di pelle scoperta (viso, mani, braccia, magari le gambe) non dovrebbe preoccuparsi di una carenza di vitamina D. La sua pelle ne produrrà abbastanza da coprire il fabbisogno. Tra l’altro, non è necessario il sole diretto, basta la luce solare (purché si stia all’aperto, perché i raggi UVB non passano attraverso i vetri).
La vitamina D prodotta, trasportata dal sangue, si accumula nel tessuto adiposo. Nel periodo estivo, quando in genere si prende un po’ più sole, si produce una maggior quantità di vitamina D, che poi diventa una riserva anche per i mesi invernali. Solo chi vive sempre in casa o chi (come spesso fanno gli anziani) tende a essere sempre molto coperto, farà bene – dopo aver sentito il medico – a prendere qualche supplemento di vitamina D.

La vitamina D che produciamo nella pelle (chiamata anche colecalciferolo) o quella che assumiamo con gli alimenti (sostanze analoghe anche se, come struttura chimica, leggermente diverse) è solo la base delle sostanze che effettivamente agiranno nel nostro corpo.
A partire da questa base sono infatti prodotti, in due passi successivi, i cosiddetti metaboliti attivi della vitamina D. Il primo passo avviene nel fegato e trasforma la vitamina D “nativa” (colecalciferolo) in 25-idrossi vitamina D (detta anche 25-OH vitamina D o calcifediolo), e il passo successivo avviene nel rene, e trasforma il calcifediolo in 1,25-diidrossi vitamina D (detta anche 1,25-(OH)2 vitamina D o calcitriolo), un vero e proprio ormone. Questi “metaboliti attivi” della vitamina D circolano con il sangue e facilitano l’assorbimento intestinale del calcio: se manca la vitamina D non si riesce ad assorbirne una quantità sufficiente. Sono anche importanti, per un complicato “gioco di squadra” con il paratormone, nella regolazione della calcemia, e inoltre sono importanti per una corretta mineralizzazione dell’osso.
Nell’insufficienza epatica o renale questi passi metabolici possono essere compromessi, ma oggi si può intervenire somministrando direttamente i metaboliti attivi, oggi disponibili come farmaci. A volte, anche negli anziani che necessitano di vitamina D, si preferisce prescrivere i metaboliti attivi (oltre a calcifediolo e calcitriolo, un altro metabolita disponibile come farmaco è l’1-alfa-calcidolo).

Nota importante: bisogna sempre seguire i consigli del medico perché la vitamina D presa in dose eccessiva si accumula nell’organismo e può fare male. A questo proposito, chi usa abitualmente integratori alimentari e supplementi vitaminici in libera vendita, deve accertarsi di non prendere vitamina D da più fonti diverse contemporaneamente.

UN’ULTIMA INFORMAZIONE: abbiamo già detto che molti anziani, e persone che non stanno mai all’aperto nelle ore di luce, possono avere carenze di vitamina D.
Nel dubbio, è possibile misurare il livello di 25-OH vitamina D nel sangue. Esso dà un’idea precisa delle riserve disponibili: se è inferiore ai 20 ng/ml è indicato un supplemento di vitamina D.

Come abbiamo detto nel capitolo specifico, la vitamina D non è in genere considerata un “farmaco” perché, in condizioni normali, è normalmente prodotta nel nostro organismo. Tuttavia è spesso prescritta e usata come “supplemento” per le persone che, come molti anziani, possono produrne meno del necessario e quindi essere a rischio di carenza. Normalmente si consigliano supplementi di 400-600 U.I. di vitamina D nativa (colecalciferolo) al giorno, dose che spesso è abbinata agli integratori di sali di calcio.

I derivati attivi della vitamina D (25-OH vitamina D o calcifediolo; 1,25(OH)2 vitamina D o calcitriolo; 1-alfa-OH vitamina D o alfacalcidolo) sono equivalenti ai “metaboliti attivi” della vitamina D prodotti nell’organismo, e sono quindi particolarmente efficaci per migliorare l’assorbimento del calcio nell’intestino nelle condizioni di carenza di vitamina D.
In particolare negli anziani, in cui la sintesi o l’attivazione della vitamina D possono essere ridotte, e le carenze sono più frequenti, sono in genere preferibili alla vitamina D nativa. Si tratta di farmaci molto potenti, che devono sempre essere prescritti dal medico, e usati nella dose corretta. Prendere dosi troppo elevate, o per troppo tempo, può essere dannoso. Nella terapia a lungo termine sono necessari regolari controlli su sangue e urine per evitare il rischio di ipercalcemia e ipercalciuria, e può essere richiesto un aggiustamento dei dosaggi.
Come abbiamo già detto nella pagina dedicata alla vitamina D, è possibile valutare le nostre “riserve” disponibili misurando il livello di 25-OH vitamina D nel sangue. Se tale livello è inferiore ai 30 ng/ml è indicato un supplemento di vitamina D.

Si sente parlare spesso di “fattori di rischio”. Ma che cosa significa esattamente?
Molte malattie non hanno una causa ben precisa e identificabile, ma sono più frequenti in persone che hanno certe caratteristiche o si trovano in certe situazioni. Per esempio, l’infarto miocardico non ha una singola, specifica causa, ma è più frequente in persone obese, sedentarie, con la pressione alta, con il colesterolo “cattivo” (LDL) alto, ecc. Però non tutte le persone obese, sedentarie o con la pressione alta avranno un infarto: per questo si dice che l’obesità, la pressione alta ecc. sono“fattori di rischio” per l’infarto.
Per la maggior parte delle malattie che non hanno una specifica causa sono stati identificati molti fattori di rischio. E ovviamente, più fattori di rischio sono presenti in una persona, più alto è il rischio che si manifesti la malattia.
L’osteoporosi è una di queste malattie. Conoscere i fattori di rischio per l’osteoporosi è importante, sia perché su alcuni si può intervenire, sia perché in presenza di un rischio elevato il medico potrà consigliare indagini specifiche (es. una MOC) per valutare meglio la situazione.
Ma è bene sottolineare due cose:
1) che la presenza di fattori di rischio non significa mai certezza di sviluppare una malattia, ma solo una maggiore probabilità;
2) che, viceversa, si può sviluppare una malattia anche se non si ha nessun fattore di rischio evidente.

I principali “fattori di rischio” per l’osteoporosi sono elencati nella tabella seguente.

Vedi per approfondimenti LIOS

I PRINCIPALI FATTORI DI RISCHIO PER L’OSTEOPOROSI

1. fattori anagrafici, genetici, costituzionali
età avanzata
sesso femminile
razza bianca o asiatica
costituzione minuta
familiarità per osteoporosi o fratture da fragilità ossea
fattori ambientali e comportamentali
dieta povera di calcio
dieta troppo ricca di proteine
dieta troppo ricca di fibre non digeribili (cibi integrali)
carenza di vitamina D
vita sedentaria
eccesso di fumo, alcool, caffeina
abuso di lassativi
3. disturbi ormonali e malattie croniche
menopausa precoce (prima dei 45 anni, anche chirurgica)
periodi prolungati di amenorrea (più di 1 anno)
ipogonadismo maschile (carenza di testosterone)
malattie infiammatorie croniche intestinali (celiachia, morbo di Crohn, colite ulcerosa)
anoressia nervosa
ipertiroidismo
iperparatiroidismo
iperprolattinemia
morbo di Cushing
artrite reumatoide e malattie immuno-reumatiche
malattie renali croniche
malattie epatiche croniche
malattie ostruttive respiratorie croniche
malattie ematologiche
trapianti d’organo
condizioni che determinano immobilizzazione protratta
4. uso di farmaci (*)
corticosteroidi
anticoagulanti (eparina)
antiepilettici
antiacidi a base di alluminio
(*) si intende uso cronico o comunque prolungato: nei casi in cui esso è necessario, consigliatevi con il vostro medico per le opportune contromisure.
da LIOS

Come si vede, su alcuni dei fattori di rischio non si può intervenire (sesso, età, razza), ma su altri certamente sì (dieta, attività fisica, uso di alcool e tabacco, ecc.).
Se ritenete di avere alcuni di questi fattori di rischio, potete chiedere chiarimenti e consigli al vostro medico, e in ogni caso, mettere in atto le normali misure di prevenzione, che sono sempre valide per tutti e non possono in nessun caso far male: una dieta ricca di calcio, una moderata ma regolare attività fisica e – in particolare nella bella stagione – un po’ di vita all’aria aperta per stimolare, con l’esposizione alla luce del sole, la produzione endogena della vitamina D.

Questo semplice questionario può darti un’indicazione se devi rivolgerti al tuo medico per fare ulteriori esami, per esempio una MOC. Solo un medico può richiedere gli esami necessari a scoprire se hai l’osteoporosi, il questionario non può sostituirsi a una visita medica.

 

SEI A RISCHIO ?
 

No
1. Tuo padre o tua madre ha mai avuto una frattura di femore per un piccolo trauma o una banale caduta?
2. Hai personalmente avuto una qualche frattura per un piccolo trauma o una banale caduta?
3. Sei andata in menopausa prima dei 45 anni?
4. Hai preso cortisonici per più di 6 mesi?
5. Hai perso più di 5 cm. di altezza?
6. Hai avuto periodi di amenorrea (no mestruazioni) per 12 mesi o più, a parte gravidanze e menopausa?
7. Bevi regolarmente alcolici? (fatti indicare dal medico il limite di sicurezza)
8. Ti capita spesso di avere diarrea (causata da malattie come il morbo celiaco o il morbo di Crohn)?